Reminiscenze per una scultura disincarnata
di Marisa Zattini

«[…] Ciascuno è tale quale l’amore che ha. Ami la terra? Sarai la Terra. Ami Dio? Dovrei concludere: tu sarai Dio. Ma non oso dirlo e perciò ascolto la Scrittura: “Io ho detto: voi siete dei e figli tutti dell’Altissimo”» Sant’Agostino

 

Nel grande affresco della vita, l’Arte si inserisce come uno strumento necessario e vitale per chi vuole allargare gli orizzonti delle emozioni e della conoscenza. Un approccio polisensoriale, dunque, che pone l’opera d’arte in un immaginario percettivo che chiede di andare oltre alla passiva abitudine di “vedere” per imparare a “guardare”. Perché l’anima degli uomini ha bisogno della fantasia e del mito in cui potersi specchiare e riscoprire...

L’Arte è trasformazione per eccellenza: è metamorfosi, permutazione mitica, trasformazione favolosa. Nulla si crea e nulla si distrugge… ma tutto si trasforma! Il rifiuto elevato ad opera d’arte, il miracolo della trasformazione in qualcosa di nuovo, di più “bello”, è quanto magicamente riesce a fare la scultrice Anna Santinello (Padova 1937) utilizzando del semplice filo di ferro, di rame, d’acciaio oppure semplici stracci, tessuti vecchi, rami secchi, bulloni, chiodi e tanto altro ancora. Ho conosciuto le sue opere grazie ad un amico comune: l’artista Bruno Ceccobelli. Lui per primo mi ha parlato di questa artista viscerale capace di manipolare materiale di scarto come il filo di ferro, recuperarlo e riciclarlo “intrecciandolo” magistralmente in spesse trame che lasciano filtrare l’aria. Lui mi ha raccontato delle sue straordinarie sculture fatte di spazio, di vuoto e di luce. Così è nato l’incontro con Anna Santinello e la passione per il suo universo che è nido/nodo, gabbia/ventre pullulante di vasi comunicanti che nutrono gigantesche forme fetali, pance, volti, mezzi busti. Tutti pezzi “gravidi” di tensione umana lasciati “aperti”, ancora pulsanti, a futura memoria, come fossero bozzoli di un’umanità epica. È la suggestione della “parte” – presente o mancante – capace di evocare il “tutto” e di suggerirlo magicamente, come per incanto. Una “profondità” psichica contagiosa penetra nel sistema arterioso delle sue opere. Con l’alchemico filo di Arianna, Anna Santinello segna e tesse la propria condizione di donna, senza dissimulazioni.
I nuclei germinali forti, dove interno ed esterno sono lacerti di carne intrecciati, si pongono come istanza cosciente. Una materia dipanata e tessuta che è scheletro, anima di ferro, reperto inestinguibile che
vibra nel nostro tempo e oltre…
Alcune delle prime opere sono elementi materici ricomposti; strutture metalliche rivestite di tela, ricoperte di terra e di cenere, inserzioni con tracce di pigmenti cromatici, quasi fossero fossili, reperti in decomposizione di una post-umanità che si pongono al
di là dei pregiudizi del “bello” e del “gusto”. Così si impone allo sguardo il Narciso/Dafne, figura metamorfica che nelle diverse installazioni trasmuta seguendo il percorso mentale sempre rinnovato della Santinello. Ora è il ceppo e sono i rami secchi germinanti a far riaffiorare l’immagine mitica, talora uno specchio - dalla mistificante cornice barocca ricreata con bulloni arrugginiti - che, come in un teatro d’ombre dagli innumerevoli cambiamenti di scena, riflette questa mummificata e scarnificata immagine, residuo di ciò che fu un tempo piena “bellezza”.
Anna Santinello è un’artista capace di colloquiare fra Eros e Thanatos per sostanziare queste sue povere membra, prodromi di struggente e dolorante bellezza, nella piena consapevolezza della fatica del nostro vivere e della transitorietà dell’essere.
Il suo è un mondo inquietante, reciso, dove la scultura è espiazione del corpo, cilicio in cui l’ontologia grida la realtà della scissione e del frammento, l’impossibilità della compiuta pienezza proprio attraverso l’urgenza di un linguaggio esorcizzante che si fa brano scultoreo, punto cardinale per marcare appartenenze.
Sono elementi apotropaici ideali per ripercorrere il nostro inconscio, per rievocare miti ancestrali e ritrovare la reminiscenza di una memoria atavica.

Scrive la Santinello: «Nessuna società può fare a meno degli artisti che sono testimoni ed interpreti delle realtà del loro momento. Poiché sanno guardare con distacco il loro contesto contemporaneo, la gente riesce a capirli solo con molto ritardo. A questo proposito ricordo una frase di Brancusi che recita: “…non voglio essere alla moda, le mode passano, se si viene contestati non è grave, ma una volta che si è compresi, lo si è per sempre”. L’arte autentica non si preoccupa di compiacere, non è provocazione o dissacrazione, al contrario penso che sappia esprimere in modo artistico, lirico o anche drammatico la complessità del vivere».
Parlando della sua opera alcuni critici l’hanno definita “primitiva”… Risponde lei: «Io penso che i critici abbiano legato il termine ‘primitivo’ al mio modo di esprimermi aggressivo ed istintivo che tende a scaricare violentemente, quasi medianicamente, un impulso preculturale, originario, con segni e materie immuni da qualsiasi concettualizzazione. È una operazione che lascia intravvedere quella parte di noi rimasta integra da qualsiasi contaminazione esterna, da ogni formalismo e perciò ‘primitiva’».
In queste tessiture del profondo l’artista scava conducendoci alle memorie inconsce, alle reminiscenze di una scultura disincarnata dove diventa tangibile la fatica dell’esistenza della materia che fu prima della vita. La relatività delle convenzioni e del gusto ci porta a riflettere su quanto l’arte ci propone. In una percezione emotiva sinestetica ognuno di noi avvertirà attrazione o repulsione, fascinazione o orrore, mai indifferenza.

Nelle opere selezionate per questa mostra troviamo sintetizzato ed enunciato il mondo epico della nostra artista: una emblematica, levitata Testa appesa ad un grottesco braccio tecnologico, quasi un patibolo post-industriale. Di fatto un vero e proprio braccio-gru che proprio nel contrasto fra l’elemento umano soffer15 MongArte - Racconti plurimi del Riciclaggio to, svuotato e il reperto archeologico industriale, si esalta a monito della nostra transitorietà. Di contro un ironico divanetto, quasi maschera diabolica (basta immaginare di vederlo dall’alto, a volo d’uccello), dove due morbidi enormi occhi chiusi - le camere ad aria gonfiate - sembrano raccontarci del sogno e del “contatto”. Il ventre/utero femminile è tema centrale che si sviluppa in numerose opere scultoree: così la maternità, nelle differenti sequenze, sottolinea il tempo dell’attesa alla quale consegue, inevitabilmente, uno svuotamento fisico e psicologico, che si fa ripiegamento introspettivo.
E tutto passa attraverso la soglia del dolore. Ma nella sofferenza c’è crescita, c’è presa di coscienza.
L’arte ci insegna che anche l’apparente morte del “senso” di una cosa non deve essere percepita come la fine della “sostanza” stessa, ma unicamente come “morte” di un suo primo utilizzo e opportunità di rinascita per nuove possibilità espressive.
Nella metamorfosi dell’immaginazione trasmutano così nuove subsistenze geografiche che realizzano l’impossibile.
Transustanziare il labirinto psichico che ci contiene: ecco il compito dell’arte. Rinominare gli ibridi mentali per nuovi universi estremi.
Nei simulacri dei diversi modi di essere dell’arte, Anna Santinello ha scelto quell’unico che le appartiene, che esprime in una lingua travagliata, portentosamente sofferta nel presente che costruisce - è il caso di sottolinearlo ancora poiché la sua non è una scultura “in togliere” o “in mettere”, ma “in tessere” e sustanziare - un mondo scultoreo capace di esorcizzare l’angoscia della morte. Così l’enigma del diverso e dell’ignoto, del mostruoso e del rifiutato percorre le superfici dei silenzi nell’arcipelago dell’arte che è terra di fantasmi della pre-vita. La ciclopica mano diventa mitologica rappresentazione della memoria archetipale in un gioco quasi allucinatorio. La pelle, ancora una volta, è corazza, maschera... è ombra densa di ciò che resta dopo l’abbandono dell’anima dal corpo. Le opere della Santinello sono in fondo dei “tropi”, come quelli di Enesidemo di Cnosso, che ci esplicitano l’apparenza delle cose ma non come esse sono nella realtà, nella piena consapevolezza dei limiti delle convenzioni del tempo.
Lo spazio, dentro e intorno, diventa risonanza che abbraccia e spazialità che contiene.
È questa la vera magìa sculturorea della Santinello. «[...] Noi sopraggiungiamo troppo tardi per gli dei e troppo presto per l’essere. Per questo l’uomo è poesia già cominciata. L’andar verso una stella, soltanto questo. Pensare è trovarsi limitati ad un sol pensiero che un giorno si arresta nel cielo del mondo, come una stella» (Hidegger).

Credo sia giusto sottolineare che l’offerta di un progetto artistico come questo, nella sua condivisione nata grazie alla cooperazione attiva fra l’Amministrazione comunale e la Sogliano Ambiente, pone le basi per articolati sviluppi anche in piccoli nodi urbani, decentrati in provincia, come Sogliano, a conferma delle potenzialità e della capacità dei luoghi di farsi “lente” e cuore pulsante, divenendo catalizzatori “nazionali” in un territorio come quello romagnolo, terra viscerale densa di passionalità.
Un grazie a quanti hanno reso possibile tutto questo.

 

Crocefisso
2000 filo d’acciaio inox e rame intrecciato - 140x110x40 cm