LUCA PIOVACCARI (Cesena, 1965) Una geografia del tempo costituita, per lo più, da “ritratti frontali”, inafferrabili rarefatti e irraggiungibili, grazie, anche, all’effetto del supporto prescelto da Pio vac cari: fogli di acetato trasparente, che riflettono la luce e si “muovono” impercettibilmente, impalpabili al nostro sguardo. Un esercizio estetico dal forte respiro concettuale, pertinente alle com binazioni con le ricerche tecniche che tra sver salmente mutuano disegno, pittura, in stal lazione e fotografia. «Fluida, immateriale, quasi trasparente [...] L’immagine è una memoria sospesa a se stessa e ama la propria condizione suicida» (Luca Piovaccari, 1998). E ancora «Uso la fo tografia con lo scopo di creare dubbi sulle capacità percettive del fruitore mettendo in forse la stessa oggettività del mondo svelando una realtà che fa parte di esso, ma che resta sempre invisibile, una realtà che si identifica sempre più con l’uomo e con la sua natura». Il soggetto reale di ven ta spunto di trasfigurazione dell’immagine ottica catturata dall’obiettivo. Una ricerca dell’Identità nel l’Alterità del l’altro che si fa “memoria dell’assente”, am bi - guità della visione. Figure che sono “ibridi mentali”, digressioni e viaggi in teriori per scoprire le inclinazioni più nascoste fra l’essere e il non essere, come scrivevo nel giugno del 2000. Uno sguardo profondo, indagatore dell’interiorità, in una sospen sio ne di giudizio spaesante, che insiste su ra re fatte e mute presenze inquietanti. Ansel Adams - il grande maestro del bianco e nero, pioniere della fotografia a gli inizi del XX secolo, fondatore della rivista “Ca mera Work”, nel 1903 - affermava che «[…] u na gran de fotografia è la piena espressione di ciò che l’autore sente del soggetto che sta fotografando nel senso più profondo; per que sto è la vera espressione di ciò che lo stesso [fotografo] sente sulla vita nella propria com plessità». Il valore di questi “trasporti fo to grafici”, che risultano decisamente “distac cati dalla realtà”, sta proprio nell’effetto visi vo introspettivo e radiografico capace di trasferire frammenti temporali. Alla base c’è la consapevolezza che l’azione combinatoria fra obiettivo, immagine e acetato trasparente, debba tener conto della reazione occhio-cervel lo e dell’intrusione di una sorta di “au ra di estraneità”. Le sue immagini con fe ri sco no al soggetto rappresentano una «con si sten za tattile di MATIA (IL FRATELLO) - 1997 - stampa fotografica su pellicole trasparenti - 150 x 150 cm Collezione della Fondazione della Banca Popolare di Cesena asparizione [cioé una ap pari zio ne/sparizione del suo referente (da Ro land Barthes)]», come ha scritto Rocco Ron chi. Gli “artifici” messi in campo dall’artista, sem brano volerci ricordare che «tutto quello che stiamo vedendo e vivendo non è che illu sione, [...] in cui potersi riconoscere e par - tecipare, benché virtuale e tutt’altro che reale, ma illusione [...]» (Alessandro Riva). Una sperimentazione linguistica per contra zione di “toni”. Una estensione dei grigi, della luce e dei neri dispiegati, che ha caratte rizza to, fino a poco tempo fa, le sue opere che ve do no oggi l’affacciarsi del colore. Così la fotografia si riconferma nodo centrale dell’immaginario e della ricerca formale con - temporanea. [M.Z.] |