MARCO NERI (Forlė, 1968)

Marco Neri è rap presentato con una serie di ri tratti in bianco e nero che ci riportano alla me moria certe frames di una fil mografia da neo realismo. Il suo è un mondo volutamente “rea listico”, quasi pressato dall’ur genza e dal l’im mediatezza di una tra spo - sizione del “vi si bi le”. Nell’apparente sempli cità delle soluzio ni tecniche e narrative della sua “ulti - mativa” pit tura, si modulano di fatto altre com ples - sità, che sono una forma di “espro priazioni” del no stro esiste re. «Del ri tratto, come gene re, mi ha coinvolto la profonda disciplina che ri chiede, una di sciplina eticamente corretta, che ha come obiet - tivo la massima attenzione all’al tro, al rispetto della sua identità», così Mar co Neri dichiarava in un’in ter vista. Del 2005 è l’o pera Omissis, dove alcuni volti dipinti in bianco e nero, quasi esclusivamente di uomini in giacca e cravatta, vengono ac co stati a fogli riempiti di semplici pennellate orizzontali, fat te a mano libera, che fanno pensare alle pagine cancellate di un testo “mai” scritto . Siamo davanti a ritratti irrico no - scibili, sche da ture e do cumenti iden titari “o mes si”, illeg gibili: ogni volto, sfuocato e se minascosto, la - scia ap pe na intravedere le tracce di un’iden tità che non può essere sve lata e la pittura porta alla luce biografie che restano segrete. Marco Neri non vuole essere spetta colare: i ma teriali sono poveri e mi ni mali (tempere da muro), risolti in una di men - sione intima che si traduce anche nella scelta del piccolo for mato. La pennellata non vuole ce dere alla sapienza dotta della “buona pit tura”, il colore è per lo più monocromo. È pro prio il suo mo do di “osservare” le cose che crea “lo scarto” che lo diffe renzia da altri artisti orientati su queste ricerche. Il suo di segno mentale è geografia rinnovata delle co se, del paesaggio, delle architetture, delle persone. Le opere diventano “bandie re del mondo”, come in un dilatato ritratto dell’u manità. Un attento lavoro di concrezione, di agglutina zione, dunque, di “correzione” della super ficie del l’apparente per ritro vare i sin tomi dell’o ri ginario. Tutte immagini “mar ginali” che sfidano lo sguardo per imporre e scuotere una visione interna. Le tracce a volte “vuo te”, le percezioni fredde ma definite, riconciliano lo sguardo del fruitore alla pittura. La sua è co me un’azione tera peutica moderna che ci par la del nau fragio della modernità. Un postmoderno, in fondo, che non vuole avere nes sun calore percettivo. Una pittu ra che non vuo le essere accat tivante, ma vuole suggerire e solleci tare nuove rifles sioni. È una sorta di recitazione che parla di “tramonto” come di u na virata della “res”. Così “pit tura e pen sie ro” scaturiscono, sgorgano e si inclinano nelle o smo si dei territori del sentire, per “sorve gliare” la realtà che ci circonda. E il tempo resta incompiuto. Direi che Marco Ne ri opera una sorta di “riduzione” dell’illusione ottica e simbolica per un’azzeramento il più possibile circo stanziato e vicino all’uomo.

[M.Z.]