VITTORIO D’AUGUSTA (Fiume, 1937)

Nel sistema dell’arte contemporaneo il lin guag gio espressivo di Vittorio D’Augusta ci per mette ampie riflessioni anche nei termini della figurazione e della “neces sità” di fare pit tura, «fosse anche solo per un fatto di “sa lu te”», come ha scritto l’artista. Il suo at teg giamento verso la pittura è sempre allu - si vo. «Lasciamo alla pittura il diritto all’in spie ga - bilità», scriveva egli stesso nel testo Mu ri del - l’anima. E ancora affer mava: «Il pittore non rac - conta, tanto meno illustra, non invia mes saggi, non de nuncia, non opera ana cro ni sti che rotture, non evoca, non urla, non cer ca co m uni ca zione. Al contrario, il pit tore co stru isce diaframmi di pro - tezione tra sé e la re al tà, o tra sé e le sue ossessioni. La pit tura non è altro che una te cnica di so prav - vivenza e, qual che volta, una trincea». Egli è un poeta che fa della “fragilità” un rit mo meditativo fondante del suo linguaggio. La sua pittura è un antidoto “autentico” al ru mo re di tante e troppe immagini “ec ces sive”. «Pro prio sull’anomalia di una decoratività che possa magicamente caricarsi di spi ri tua lità sto appunto lavorando, la sciando che la pittura sia libera di errare, nel senso doppio di vagabondare e di sbagliare: en trambe e sperienze che hanno a che fare con la “felicità rischiosa”. Lasciando, cioé, che la pittura se gua una sua sapienza interiore, una “in tel ligenza di sé” così na turale e po ve ra di truc chi, ma semmai ricca di con trad - dizioni: spar tana e de corativa, mini malista e regres siva, colta e infantile tanto da pro vo care uno spiaz zamento per primo in me stesso, come un pro gramma che abbia come fine la propria im - prevedibilità». Di fatto egli parla sempre dei “fondamenti” del fare pittura, anche se la lettura, di primo acchito, può non essere immediata. Egli de fi nisce i confini - come in un hortus conclusus - e disvela le presenze attraverso “ri poste ca denze”, segni e assenze. Così «le fisicizzazioni delle sue più spe cifiche ca - rat teristiche come colore, luce, stesura, ot te nute con materiali diversi, toccano e sol le vano tutti i problemi di una differente pratica della pittura e della sua immagine» (Giovanni Accame). D’Au gu - sta non ha paura di parlare dei suoi amori e dei suoi riferimenti culturali: la spiritualità di Rothko, la poesia di Licini, la lezione di Klee, e quella,attual mente ritro va ta, di Matisse, diventano valori positivi fon danti per i suoi esordi. Il segno distintivo del suo fare pittura tiene conto dei pieni e dei vuo ti, delle archi tet ture fisiche e delle ar chi - tet ture dell’anima, in som ma degli spazi emo zionali. «Mi piace pensare che la storia dell’arte del ’900 sia anche una storia di celle d’isolamento a cui i pittori si sono drammaticamente e feli cemente autocondannati». Claudio Spadoni ha scritto di lui: «[…] D’Au gusta sembra essersi calato ancor più in una pratica della pittura che ripercorre i rituali, le ragioni, le seduzioni del dipingere. Nessuna concessione alla metafora […] o a una narra zione che non sia quella degli atti, del pro ces so costitutivo dell’o pera. È un rias saporare la ge nesi della pittura, il suo in - verarsi in una materia-colore attraverso il gesto elementare della mano, che certo presuppone un “sape re”, una cultura pitto rica, ma che richiama al tempo stesso il pia cere di una tattilità quasi infantile». E Dede Auregli scrive: «[…] Siamo in pre senza di un’arte che cresce su sé stessa e sulla propria storia, che si autocita fram men tan dosi in infiniti rimandi, fatta di continui ri spec chiamenti in una circolarità che rian no da le trame di un eterno ritorno dell’opera e lo ri flet te in sé essendo ad un tempo contenitore e contenuto in uno spazio artistico tota le. Ma citazioni e rimandi non per nobilitare la pro pria opera […] ma proprio come pretesti “d’u so” per creare poeticamente, e forse un poco ro manticamente, la propria visione estetica […]». Il lavoro di D’Augusta lascia affiorare la pen - sosità di una concezione quasi orientale dello spazio, sentito non come caos e sub si den za di realtà compresenti, ma come equilibrio di pochi elementi essenziali. L’artista ci fa in tra vedere in tutta la sua lentezza e densità (tipica, anche, del grande romanzo europeo del la me moria), il fram mento, la piccola cosa quale fon te, in verità, ricca di riflessioni, di analisi e di ritorni: la realtà come flusso con tinuo.

[M.Z.]