BABELE - 1994 - olio e lamina di ottone su lamiera di ferro - 103 x 100 cm
Collezione della Fondazione della Banca Popolare di Cesena

FRANCESCO BOCCHINI (Cesena, 1969)

È stato definito artista «dall’im maginario lu na re». Egli è “pittore” di icone e di silenzio, al meno nel ciclo che lo ha visto affermarsi con queste suggestive tavole di ferro “strom bate”, preziose e ricercate nei fondi dorati di otto nella, realizzate alla fine degli anni ’90. Nel vocabolario della lingua italiana si legge: «Il termine icona deriva dal greco “eikon”, che può essere tradotto con immagine, e nel campo dell’arte religiosa identifica una raf - figurazione sacra dipinta su tavola. [...] Si tratta di una crea zione bizantina del V secolo. [...] Quando nel 1453 l’Impero Romano d’Oriente crollò, i popoli balcanici contri buirono ad incre men tare sia la produzione sia la diffusione di que ste raffigurazioni sa cre. In Russia, l’icona assu me un significato molto particolare e di gran de importanza». L’antico pittore metteva tutta la sua arte nel focalizzare l’essenza di un paradigma religioso già descritto. Francesco Bocchini ha realizzato questo ciclo nell’arco “breve”, come afferma lui stesso, di quattro anni. Gambettola è la sua città natale, nota nel mondo per i “rot ta mai”, questi grandi suggestivi e onirici de po siti di raccolta di ferro vecchio. Così ecco la scelta di usare materiale di scarto, povero ma denso di memoria; la scelta etica di rea - lizzare opere d’arte attra verso un riuso di materiali “post-trash”. Una ricerca intensa, la sua, og gi in parte superata dai curiosi “meccanismi”, una sorta di pitto-sculture movibili che si riallacciano al mondo “ironico” dell’infanzia, veri e propri “giochi” etici per adulti, alla scoperta di ciò che è nascosto die tro l’ap parenza delle cose. Qui le ma - novelle sono un invito esplicito che l’artista fa al ri - guardante affinché provi ad entrare in con tatto con l’opera per scoprire che cosa accade dopo. C’è una sorta di contami na zione tra scultura, pittura, scrittura, musica e teatro, anche nella risco per ta dei “rumori”, cari ai nostri futu ri sti. Così tornano alla mente, per em patia e affinità elettive, i mec - canismi di Jean Tinguely, certi tea trini di Kurt Shwitters e alcune opere di Alexander Calder. [M.Z.] «Il lavoro è partito dall’idea classica di “icona”. Mi interessava rac contare di una immagine che ha subìto il tempo, dove il colore è vissuto, rovinato, corroso… sman giato. Volevo rendere la luce, ma non con l’oro… così ho usato l’ottonella. La su perficie liscia della lamina di ferro mi ha permesso di stendere uniformemente que sto prodotto, senza lasciare tracce di pen nellate, in modo uniforme, lasciando solo vibrare le ammaccature, le incisioni. Volevo dare questo alone di spiritualità al per sonaggio che poi ho dipinto sopra. […] I titoli non sono nella tradizione religiosa, ma dedicati a personaggi che poco hanno a che fare col tempo delle icone… a volte sono precedenti. Li volevo “glorificare”, come si fa coi santi. […] La “bellezza”, per me, è qualcosa che ti appartiene. Davanti alla bellezza non c’è ragione. L’Arte ha a che fare con qualcosa che ti colpisce. Trovo che il concetto di bellezza sia molto cambiato nel corso dei secoli… oggi fa parte dell’emozione. […] Mi piace tutta l’arte, dalla preistoria ad oggi: in particolare amo la pittura espres sionista, Otto Dix, ad esempio […]».

(dall’intervista di M. Zattini a F. Bocchini del 14 aprile 2007, nella casa di M. Pulini, a Montiano)