L’ebbrezza di Noè
di Marisa Zattini

«(…) Per ciò che riguarda il bere, amici miei, avete la mia approvazione. Il vino impregna l’anima e addormenta i vostri crucci, destando i buoni sentimenti. Penso tuttavia che il corpo umano reagisca come le giovani piante: allorché gli dei mandano loro troppa acqua, non riescono a reggersi, e il vento le piega. Ma quando si abbeverano secondo i loro bisogni, se ne stanno ben ritte e portano abbondanti frutti. Altrettanto vale per voi».
Socrate

L' idea di elaborare un progetto espositivo sul tema del “nettare degli Dei” - partendo dalla suggestione di una scena dell’affresco di Bartolo di Fredi, L’ebbrezza di Noè (1367), conservato nella Collegiata di San Gimignano - è nata per ripercorrere l’antica abitudine della “commissione di un’opera a soggetto”, nello specifico per coinvolgere sedici artisti, fra pittori e scultori, invitati a realizzare un’opera ad hoc su questo tema e riunire tutte le opere in una “collezione permanente”. Un insieme tematico, organicamente riunito e compatto, per quanto concerne l’arte contemporanea, una summa rimarchevole per presenza di artisti di primo piano, dove si potrà leggere, dall’uno all’altro, la varietà delle concezioni che possono animare l’interpretazione di un tema. La mostra si sviluppa con una Sezione Storica - curata da Gabriele Borghini - sempre sul filo conduttore del tema del ‘vino’.
Per la Sezione Contemporanea - presentata in catalogo da Nicola Micieli - sono stati invitati artisti quali: Adriano Bimbi, Floriano Bodini, Richard Hess, Alberto Mingotti, Joachim Schmettau, per la scultura, Dino Benucci, Bruno Ceccobelli, Silvano D’Ambrosio, Angelo Fabbri, Paola Gandolfi, Daniele Masini, Ugo Nespolo, Luca Piovaccari, Massimo Pulini, Lily Salvo e Medhat Shafik, per la pittura.
Per la Sezione Storica - che titola Da Dioniso ad Apollo - dipinti dal sec. XVI al sec. XVIII - sono state selezionate alcune opere provenienti da collezioni pubbliche e private - a firma di Giulio Carpioni, Giacinto Brandi, Pompeo Girolamo Batoni ed altri ancora - sull’immagine del Baccanale, sulla diffusione del tema dell’ebbrezza nella pittura romana del ’600, sul “riscatto” attraverso Bacco e sulla catarsi apollinea.
A corredo, la mostra documenta liriche su questo affascinante tema, in un percorso che va da autori dell’Ottocento e del primo Novecento italiano fino a poeti contemporanei selezionati da Gianfranco Lauretano, quali Alda Merini, Rubina Giorgi, Davide Rondoni, Alessandro Ceni.
Nella Bibbia, indagando il tema storicamente, in uno dei capitoli della Genesi, si narra che Noè, questo venerabile patriarca, dopo aver “imbarcato” sull’arca i tre figli con le loro mogli e bambini e tutti gli animali, intraprese, sui flutti del diluvio, un viaggio che lo condusse fino al monte Ararat, in Armenia, dove si stabilì e, da buon coltivatore, piantò la vite, di cui aveva portato con sé le radici. Da questa vite raccolse l’uva e fece il vino, con cui si inebriò. La storia afferma che, in questo stato di ebbrezza, Noè si comportò in modo “molto poco saggio”, arrivando persino a denudarsi per smaltire più comodamente la sbornia davanti alla sua famiglia riunita. Uno dei figli, Cham, dice la storia, guardò il padre nudo con curiosità, il che gli fu amaramente rimproverato dai suoi fratelli, Sem e Japhet, che rivestirono il padre stando ben attenti a non guardarlo. «In diversi scritti si è sostenuto che questa leggenda fosse allegorica, e che Cham avesse semplicemente approfittato della sbronza paterna per carpirgli - in quanto gli si era mostrato “a nudo” - segreti di alto valore iniziatico; il che non era stato affatto giudicato dai fratelli come fair play» (da I misteri del vino di Louis Charpentier, Ed. Atanor).
Noé, grazie al vino, pervenne ad una “ebbrezza sacra”, in “uno stato secondo”. «Tuttavia, è difficile credere che Noé si sia ubriacato per caso; è piuttosto da credere che l’abbia fatto perché lo voleva, perché desiderava ottenere quello “stato secondo” che permette all’uomo di mettersi in rapporto coi suoi Dèi, nella fattispecie con Jaweh; o se si preferisce, desiderava comprendere certe cose che gli rimanevano nascoste quando si trovava nel suo stato normale. E se, ubriaco, egli si è mostrato nudo davanti ai figli, non è certo della sua nudità fisica che questi si potevano scandalizzare, ma piuttosto del fatto che aveva messo a nudo il suo pensiero, aveva rivelato segreti iniziatici che doveva tenere per sé, o dire soltanto a coloro che potevano intendere - o comprendere. E dei tre figli che lì si trovavano - tre figli di razze differenti, non dimentichiamolo - solo Japhet ricoprì la sua nudità, il che vuol dire, verosimilmente, che solo quello di razza bianca poteva intendere le sue rivelazioni, e velarle. E se Cham si era burlato del padre, era per le sue parole che, alle sue orecchie, non avevano alcun senso. In vino veritas! Questo significa, in realtà, non che l’uomo un po’ ebbro dice la verità, ma che questa verità si mostrerà a lui e, come trascinata da una forza irresistibile, sarà in qualche modo obbligata a venire a galla: in questo stato, lo spirito stimolato dal vino si libera dalla materia e diviene chiaroveggente» (op. cit.). Di quella vite che Noè portò con sé durante il diluvio e del vino e della sua ebbrezza si è mantenuto il ricordo per molto tempo! «C’è un’analogia incontestabile con l’euforia spirituale, vale a dire l’euforia data dal vino, senza arrivare all’ubriacatezza, che, tuttavia, nelle civiltà antiche svolgeva pressappoco lo stesso ruolo del Carnevale nelle nostre civiltà cristiane; era la disibinizione necessaria e addirittura obbligatoria, di tanto in tanto» (op. cit.). All’ebbrezza del vino, dono degli Déi, consegue anche la panacea della “dimenticanza”, dell’oblio, della sensualità che coinvolge tutti i sensi, che colma l’anima di ogni sublime verità.
Nell’antico Egitto, per quanto concerne il vino della dea Hathor, dobbiamo idealmente andare fino al VI millennio a.C. per ritrovare la vitis vinifera, coltivata fin da allora e utilizzata per la produzione del vino. Il vino era considerato dagli egizi un dono divino indispensabile per favorire quell’ebbrezza, mediante la quale l’uomo magicamente si mette in sintonia con la divinità, e per questa ragione in Egitto l’ubriaco non solo era ammirato nella sua esaltazione. E mentre in Grecia e a Roma la mitologia avrebbe riconosciuto in Dioniso (Bacco) il dio dell’ebbrezza e dell’amore, in Egitto invece la scelta sarebbe caduta sulla dea solare Hathor, spesso identificata con Iside protettrice dei raccolti e madre di Horo, il dio giovanile raffigurato sotto l’aspetto di falco e simbolo del sole, dagli occhi del quale sarebbero sgorgati i chicchi dell’uva.
I greci definivano il mare “color del vino”, immaginando, al tramonto, le onde trasformate in ribollenti cascate di succo d’uva. Ricordiamo la straordinaria e celebre coppa di Exekias - protagonista assoluto della ceramografia attica - Dionisio su imbarcazione a vela (540-530 a.C.) dove, sull’albero della nave, l’artista fa spuntare un “prodigioso” vigneto, i cui tralci si confondono con i guizzi dei delfini.
In un breve percorso iconografico, pensiamo ad opere storiche straordinarie quali L’ebbrezza di Noè di Paolo Uccello (Firenze, Chiostro Verde di S. Maria Novella) e, sempre con lo stesso titolo, l’opera di Jacopo Chimenti detto l’Empoli (Firenze, Uffizi), Venere con satiro dionisiaco di Annibale Carracci, la scultura Morgante sul barile e il Bacco del Giambologna, L’uva e l’Angelo di Giovanni della Robbia, il bel quadro Spalliere di uve di Bartolomeo Bimbi, il Travaso del vino della scuola del Ghirlandaio, le splendide miniature medievali dei Tacuina Sanitatis, il dipinto di Michelangelo Il sacrificio di Noè e il Bacco (1496-1497) - meravigliosa scultura ispirata alla statuaria classica - conservato al Bargello di Firenze, l’opera di Giotto Le nozze di Cana (1303-1305), nella Cappella degli Scrovegni a Padova, rappresentazione dipinta dall’artista in uno spazio tangibilmente tridimensionale, il Baccanale del Mantegna, il Bacco e Il Bacchino malato di Caravaggio, Bacco fanciullo di Guido Reni (Galleria Palatina), Bacco sulla botte di Baccio del Bianco, l’Età dell’argento di Pietro da Cortona e il Trionfo di Bacco (1625 ca.) conservato nella Pinacoteca Capitolina a Roma, l’Allegoria dell’autunno di Paolo Veronese, il Sacrificio con figure di Bacco di Francesco Francia, la straordinaria Raccolta dell’uva di Antelami, il Ciclo del vino raffigurato nell’affresco del Castello del Buon Consiglio a Trento, Bacco e Arianna di Gianbattista Tiepolo, solo per citarne alcune perché l’elenco sarebbe immenso! Mi piace però ricordare anche qualche opera di artisti più vicino a noi quali Guttuso, con il suo Bacco, il bel Baccanale di Picasso, l’Autunno di Giò Ponti, raffigurato su di un piatto della Richard Ginori, L’alpino in osteria di Achille Lega, il Fiasco e bicchiere di Carlo Carrà, l’installazione La Vigna di Piero Gilardi.
Qui, a San Gimignano, siamo in Toscana, regione che è anche culla della letteratura sulla vite e sul vino, da tempo antichissimo, terra dove ingegno e fantasia si intrecciano esprimendosi in opere che vanno dall’artistico al letterario, dallo storico fino al “tecnico” che contraddistingue le nostre aziende vinicole italiane.
Mi auguro che questa mostra tematica, attraverso esempi di arte storica e contemporanea, di liriche e di autorevoli contributi a firma di Franco Cardini, Tullio Gregory, Giacomo Tachis e Janus, sia apprezzata e accolta come stimolante occasione di riflessione, per ampliare coscienza e conoscenza.
E concludo con un’affermazione di Palladio, che può idealmente accompagnarci nel crogiuolo di iniziative che la città di San Gimignano svilupperà per tutto l’arco dell’estate: «è meglio bere vino con discernimento che acqua con orgoglio» (da La storia Lausiaca).