Adriano
Bimbi è nato
a Bibbona (Livorno) nel 1952, risiede e lavora a Canonica di Sesto
Fiorentino, Firenze.
Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze - con Fernando
Farulli -, dove è attualmente titolare della
cattedra di Pittura. Espone
regolarmente in Italia e all’estero dal 1973, anno della prima mostra
collettiva dell’AABB di Firenze, alla Galleria dell’Accademia
delle Arti del Disegno.
La sua produzione plastica si inserisce nella migliore
tradizione del Novecento
italiano e interpreta con particolare attenzione la quotidianità della
figura e del gesto. Scrive di lui Nicola Micieli: «Non v’è invenzione
formale, per
quanto ardita e sorprendente nel suo esplicarsi visivo, che, per abito
mentale ed educazione del gusto, Bimbi non riconduca alla compiutezza
dell’impianto dal respiro forte e
cadenzato in arsi e tesi ampie e solenni, sintesi di organicità e
astrazione nelle grandi come nelle piccole opere.
Le ragioni della forma,
in definitiva,
incontrano e mediano le istanze della vita, che Bimbi sottrae al
loro inesorabile accadere fenomenico
fissandole nell’esemplarità evocativa di un gesto, di un atteggiamento,
di
un’espressione, di una situazione
sospesa, da cui discende il senso di trasfigurazione metafisica della dimensione
quotidiana in cui consiste uno dei tratti di maggior suggestione della
sua
scultura».
« Si tratta di un artista di una rara qualità plastica.»,
scrive Mario De Micheli, «Io guardo i suoi bronzi e resto sorpreso
dalla loro asciutta energia, dal loro concentrato vigore. C’è in
essi una sorta di vitalità centripeta, che raccoglie dall’esterno
all’interno la sua potenza. In questo senso è proprio uno
scultore toscano: cioè non enfatico, non
espansivo, che sta all’osso delle proprie immagini. Penso a Marino
e a Vangi, ma al tempo stesso penso anche a un artista che ormai possiede
una fisionomia distinta, un linguaggio di netta evidenza [...] il suo discorso
si definisce con rigore ed ampiezza, fedele alle premesse di una poetica
che ha il suo centro nel valore dell’uomo». Numerose le rassegne
personali, gli inviti a collettive significative e i riconoscimenti. La
prima personale è del 1980, alla Galleria d’Arte Bandini di
Cecina, Livorno. Poi si susseguono altre esposizioni, fra le quali si segnalano,
nel 1987, quella al FIAC di Parigi, con la Galleria d’Arte L’Affresco
e all’Expo ’87di Bari.
Nel 1988 gli viene dedicata una personale
ad Arte Fiera di Bologna, con la Galleria d’Arte L’Affresco,
mentre nei primi anni ’90 realizza il Monumento alla Resistenza per
la Città di Albenga, Savona; nel 1994 gli viene dedicata un’esposizione
nella Sala Lorenzo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e del
1997 è il riconoscimento Il Pegaso d’oro della regione Toscana
a Mario Luzi, a Firenze. Negli ultimi anni si ricordano la mostra Adriano
Bimbi, nella Galleria Comunale d’Arte, nel centro storico e presso
Il Vicolo - Interior Design di Cesena (1998), l’esposizione
De statua, nella Villa Guerrazzi di Cecina, Livorno (2000) e, nel
2002,
Kunst am Kolde-Ring
21, HWK, Handwerskammer Munster, in Germania.
Fra le numerose collettive
si segnalano: nel 1976 V Biennale Internazionale di Grafica d’Arte,
Palazzo Strozzi, Firenze; nel 1977 partecipa, con il “Laboratorio
Arti visive” dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, a esperienze
cartografiche e serigrafiche nella scuola primaria di Firenze; nel 1980
Giovani artisti 50 d’aprés, Tour de Fromage, Aosta; nel 1984
prende parte a Scultori a Sarzana, al Palazzo Berghini di Sarzana, ed a
Peintres à La Soffitta nell’Eglise de St. Leu, Bagnolet, Parigi;
nel 1985 partecipa al Premio Antonio Ruggero Giorgi,
a San Benedetto Po, Mantova (vi prenderà parte anche nel 1987, a
Reggiolo, Reggio Emilia); nel 1986 si ricordano la rassegna Fra parola
e immagine, al Palazzo Lanfranchi di Pisa, l’XI Mostra Arte e Sport,
Palazzo Strozzi, Firenze,
la I Biennale Asti Scultura, Asti, la III Biennale Nazionale di Scultura,
Palagio Fiorentino, Stia, Arezzo; nel 1988
la XXVI Edizione Mostra all’Aperto Gruppo Donatello, Firenze,
e Rotonda 88, comune di Livorno, Livorno.
Gli anni ’90 si aprono con Agorà: 15 Artisti toscani, a Verona,
e con la
partecipazione al Premio Marche, Ancona (1990). Nel 1993 la XXXII Biennale
Nazionale d’Arte città di Milano, al Palazzo della Permanente;
nel 1994 il Premio Suzzara, alla Galleria Civica D’Arte Contemporanea
di Suzzara; nel 1995 Le Ragioni della Libertà, al Palazzo della
Triennale di Milano e la XVI Edizione Internazionale Del Bronzetto, a Padova;
nel 1996 Situazioni Scultura, al Palazzo Ducale di Lucca ed a Massa-Carrara,
il XXIII Premio Sulmona, Palazzo dell’Annunziata, Sulmona, e Homo
Faber, all’Oratorio di San Sebastiano, Forlì. Nel 1997
IX Rassegna di pittura e scultura, Montespertoli, Firenze; Perez,
Bodini, Bimbi, Gruppo Gualdo, Sesto Fiorentino; nel 1998 La donna
e il segno,
Gruppo Gualdo, Sesto Fiorentino.
Nell’anno 1999 si ricordano due
esposizioni: (S)Oggettivamente, a Civitella Val Di Chiana, Arezzo, e Il
disegno in Toscana dal 1945 ad oggi, Poggio a Caiano, Firenze. Nel 2000
Ex voto per il Millennio, Museo Nazionale della Certosa di Calci; nel 2001
L’uomo in croce, Convento di S. Bonaventura, Bosco ai Frati,
S. Piero a Sieve, Firenze, e Il tempo del cuore, Fondazione Arpa,
Pisa. Nel 2002
Bimbi torna ad esporre nel Convento di S. Bonaventura (Bosco
ai Frati, S. Piero a Sieve, Firenze) nella rassegna Il Mugello
disegnato.
Partecipa nel 2003 alla collettiva Magnetismo delle forme, Tor del Sale,
Piombino, Livorno.
Floriano
Bodini nasce a Gemonio, in provincia di Varese,
nel 1933. Si trasferisce, con la famiglia, a Milano nel 1936.
Concluso il Liceo Artistico, frequenta l’Accademia di Brera.
Suo maestro è Francesco Messina e in quelle aule nasce un dialogo di reciproca
stima e amicizia. La prima mostra personale è del 1958 a Gallarate, alla
Galleria Amici delle Arti, con la presentazione di Giuseppe Guerreschi, figura
fondamentale nella formazione culturale e artistica di Bodini. D’altro
canto, oltre che gli stretti rapporti con Guerreschi, Romagnoni, Vaglieri, Ceretti,
Ferroni e Banchieri, del gruppo di giovani artisti milanesi del “Realismo
esistenziale”, sulla formazione artistica di Bodini
agisce profondamente, dalla metà degli anni ’50, anche l’assidua
frequentazione di musei e di studi di artisti a Roma.
Nel 1962 è invitato alla XXXI Biennale Internazionale d’Arte di
Venezia, dove espone sette opere, mentre nel 1964 esce a Milano, per le edizioni
dei Quaderni di Imago, la sua prima monografia, a cura di Luciano Bianciardi
e Duilio Morosini. Dopo la partecipazione alla IX Quadriennale, nel 1965, nel
1968 la Galleria Gian Ferrari di Milano dedica una mostra all’opera Ritratto
di un Papa, oggi ai Musei Vaticani.
Dal 1969 al 1971 espone con ricorrente frequenza in istituzioni e musei tedeschi,
ad Amburgo, Hannover, Berlino, Oberhausen, Bonn, Bad Godesberg e Anversa: la
sua opera, in seguito a questa serie di mostre, è conosciuta e apprezzata
nei principali paesi europei, riscuotendo un largo successo da parte della critica
più attenta e autorevole.
Allo stesso modo, in Italia il suo lavoro suscita, da queste date in avanti,
il più vivo interesse. Le sue opere appaiono così, nelle rassegne
più importanti di carattere nazionale ed internazionale, tra gli esempi
più validi della scultura italiana, e come tali vengono accolte nelle
pubblicazioni di maggior rilievo e importanza dedicate all’argomento. Nel
1973 Mario De Micheli firma il volume Ritratto di un Papa, mentre di rilevante
importanza è anche la sua opera grafica, di cui nel 1973 esce il catalogo
generale, Un diario spietato, a cura di Enzo Fabiani.
L’interesse per l’insegnamento lo porta ad un’intensa attività didattica:
nel 1976, al Liceo Artistico di Milano, è assistente di Vitaliano Marchini;
nel 1977 all’Accademia di Brera tiene l’insegnamento di Tecnologia
del Marmo. Titolare dal 1978 della Cattedra di Scultura all’Accademia di
Belle Arti di Carrara, ne è direttore fino al 1987 e presidente dal 1991
al 1994.
Ne
lla città del marmo Bodini ha impresso un’identità alla didattica
della scultura fondata sulla tradizione artigianale dei laboratori: su questa
eredità ha concepito il progetto di un’Accademia, definito dallo
stesso artista “pilota” e “controcorrente”.
Concluso l’insegnamento carrarese ha proseguito l’esperienza sulla
stessa linea culturale, a Darmstadt in Germania, nel Politecnico di Architettura,
dal 1987 al 1998, quale titolare della Cattedra di Scultura.
Il rapporto con il pubblico tedesco prosegue e perdura con l’antologica
della Galleria Brigitte Maurer di Darmstadt e l’inaugurazione del grande
monumento a I sette di Gottinga, nella piazza del Parlamento di Hannover, nel
1998. Inizialmente orientato per lo più sull’impiego del legno e
del bronzo, a partire dagli anni ’70 Bodini si confronta anche con un’altra
materia, il marmo, che diviene sempre più presente nelle sue realizzazioni
nel corso degli anni ’80-’90, eseguite negli studi di Carrara e segnate
da una vasta produzione di sculture monumentali - dal Monumento a Virgilio per
la città di Brindisi (1985) al Paolo VI per il Duomo di Milano (1989),
dal Ritratto del Cardinal Ferrari nel Duomo di Parma (1994) al complesso per
l’Altare Maggiore del Santuario della Santa Casa di Loreto (1994), dal
Monumento ai caduti sul lavoro a Carrara (1995) a Santa Brigida di Svezia e Crocifisso
nella Basilica di San Pietro in Vaticano (1999). Fra gli ultimi complessi quello
nell’Aula liturgica Padre Pio in San Giovanni Rotondo (2001). Fra le grandi
realizzazioni in bronzo si ricordano invece il Monumento a Paolo VI per il Sacro
Monte di Varese (1986), il Monumento a Stradivari per la Città di Cremona
(1999), la Porta Santa per la Basilica di San Giovanni in Laterano (2000) e numerose
opere conservate in musei italiani ed internazionali. Sin dagli esordi Bodini
ha partecipato a mostre pubbliche di grande rilievo: a Milano, Roma, New York,
Amburgo, Lisbona, Madrid, Colonia e Buenos Aires. È stato invitato alla
Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nel 1962 e nel 1982; ha partecipato
su invito nel 1965 e nel 1972 alla IX e X edizione della Quadriennale di Roma,
della quale è stato nominato Consigliere negli anni ’90. È invitato
alle Biennali Internazionali di Scultura Città di Carrara. Fra i vari
riconoscimenti, nel 1977 è stato insignito dall’Accademia di San
Luca del Premio Presidente della Repubblica per la Scultura. Nel 1979 gli viene
assegnato il Premio Bolaffi; nel 1997 il Premio per la Scultura Michelangelo
Buonarroti; nel 1998, nell’ambito del Premio Suzzara, il riconoscimento
alla carriera “Dino Villani”; nello stesso anno è nominato
Maestro del Palio della città di Asti. Nel 2001 il comune di Carrara ha
conferito a Floriano Bodini la cittadinanza onoraria. Nel 2002 la Civica Galleria
d’Arte Contemporanea di Lissone gli dedica una mostra personale e nell’estate
dello stesso anno, nell’ambito della XI Biennale Internazionale di Scultura,
la Città di Carrara organizza una sua mostra antologica.
Joachim
Schmettau nasce a Bad Doberan nel 1937. Fra il
1956 ed il 1960 studia alla Hochschule der Künste di Berlino.
Nel 1961, durante un corso di perfezionamento, è allievo di Ludwig G.
Schrieber. Dal 1971 tiene la cattedra di scultura presso la Hochschule der Künste
di Berlino. Nel 1972 nasce, a Berlino, il gruppo “Aspekt”, del quale
Schmettau è tra i fondatori. Fra i vari premi, nel 1969 Schmettau ottiene
un primo riconoscimento, vincendo il “Premio Villa Romana” di Firenze,
seguito, nel 1970-’71, dal “Premio Villa Massimo” di Roma,
mentre nel 1977 gli viene conferito il “Premio Großer Berliner Kunstpreis” a
Berlino e nel 1980 il “Premio Düsseldorfer Kunstpreis” di Düsseldorf.
La prima personale dedicata all’artista è del 1968, presso la Galerie
Strecker di Berlino, e l’anno seguente le sue opere sono presentate in
Italia, a Cremona, dal Gruppo d’Arte “Renzo Botti”. Da questo
momento l’artista esporrà soprattutto in questi due paesi, dove
si aprono, fra le numerose mostre dedicate alla sua scultura, le esposizioni
alla Städtische Kunsthalle di Mannheim (1970), alla Städtische Galerie
di Ravensburg (1974), alla Staatliche Kunsthalle di Berlino (1983), al Neuer
Berliner Kunstverein (1986), la mostra dal titolo La statuaria lumeggiata, itinerante
a Vimercate, Milano e Cesena, curata da Marisa Zattini.
Lucio Cabutti scrive sull’opera di Joachim Schmettau, nel catalogo di quest’ultima
mostra: «[...] il suo spirito espressionista consiste in un sentimento
latente di violenza, disagio e tensione emotiva, sempre sfiorato dall’oscuro
rischio del caos, della dissipazione e dell’annientamento, a cui la coscienza
si oppone attraverso il senso della forma e dell’immagine umana. L’espressività dei
suoi personaggi, anzi, è giocata anche su questo ruolo eroico e tragico
di resistere e esistere, malgrado tutto, esorcizzando esteticamente le proprie
malattie spirituali e materiche in nome della passione di vivere, e arroccandosi
nella propria identità figurale come nell’estrema risorsa contro
il naufragio del tempo». Nel 1996 viene dedicata allo scultore un’esposizione
a Bologna, alla Galleria Maggiore e nel 2000 a Bad Homburg e a Darmstadt.
L’ultima
personale, nel 2002-’03, è alla Galerie Eva Poll di Berlino. Fra
le numerose
collettive si segnalano: Wanderausstellung der Hochschule für bildende Künste
in Verbindung mit dem Deutschen Kunstrat a Londra, nel 1963 e, nello stesso anno,
XIII Jahresausstellung der Neuen Darmstädter Sezession di Darmstadt; Berlin
XX. Jahrhundert, Losanna (1968); nel 1969 Biennale Internazionale di Scultura,
Città di Carrara, Beispiele europaischer Plastik heute, Wiener Sezession,
Vienna e Berliner kunstler a Djakarta, Bangkok e Hong Kong; Contemporary Graphic
Art in Germany, Tel Aviv (1975); Aspekt Großstadt, Künstlerhaus Bethanien,
a Berlino, Londra e Edimburgo (1977), Berlin Now, New School Art Center, New
York (1977); Aspekte, Londra
e Hannover (1978); Zeichnungen der Gegenwart, a Köln, Sidney, Belgrado,
Oslo, Buenos Aires (1982); Kunst 1945-1985, Neue Nationalgalerie, Berlino (1985);
15 Berliner Künstler in Brasilien, Sao Paulo, Rio de Janeiro, Porto Alegre,
Recife (1986-1987); Omaggio a Melozzo, Palazzo Albertini, Forlì (1994),
Museion, Maestri della scultura italiana e tedesca, Bolzano (1994); VIII. Biennale
Internazionale di Scultura, Città di Carrara (1996). Negli ultimi anni
Joachim Schmettau partecipa a mostre a Leipzig, Berlino, Lübstorf, allo
Schloss Wiligrad, nel 2000, a Francoforte nel 2001, e, nel 2002, al Kolbemuseum
di Berlino, a Neustrelitz e all’Ausstellung im Kadewe di Berlino.
Bruno
Ceccobelli è nato a Todi nel 1952. Compie
gli studi frequentando l’Accademia di Belle Arti di Roma,
città dove tiene la sua prima mostra personale, alla galleria
Spazio Alternativo, nel 1977. Nello stesso anno espone per due
volte allo spazio La Stanza, autogestito dagli artisti, di Roma.
La sua ricerca, inizialmente di tipo concettuale, giunge ad un’astrazione
pittorica che, attraverso il recupero del “ready - made” e una manipolazione
dei mezzi tradizionali dell’arte, approda ad un vero simbolismo spirituale.
In una lettera a Gillo Dorfles l’artista scrive: «L’artista
dovrebbe essere il veggente per eccellenza, simile al profeta fuori dal tempo.
Capta il futuro e il passato con la stessa costanza perchè in realtà lui è “nell’eterno
presente”. [...] La mia pittura mi ha insegnato ad accettare i volti, i
busti, mani, piedi, come elementi e canoni di un lemma ancora esistente, possibile
e futuro. [...] Ho sempre pensato che il mio lavoro debba operare nella classicità intendendo
come classico il concetto di eclettismo. [...] Io, con la simmetria e altri rapporti
numerici e sezioni auree costuisco lo spazio, l’espressione e lo stare
delle figure [...] simmetria come specchio, riflessione, sacralizzazione della
nostra natura terrena e celestiale». Essere artista per Bruno Ceccobelli è «una
scelta di vita per migliorarsi. [...] Si vive in una dimensione alternativa,
poetica, che affina la sensibilità e crea un’autoscienza. È un
mettersi ferocemente a nudo per scoprire la propria missione. Per me, ciò ha
comportato un avvicinamento alle filosofie orientali».
Dopo una prima collettiva in Austria, nel 1980 partecipa alla Biennale de Jeunes
di Parigi. Nel 1981 espone alla Galleria Ugo Ferranti di Roma e successivamente
da Yvon Lambert a Parigi, mentre nel 1983 gli viene dedicata una mostra da Salvatore
Ala a New York (1983). Espone alla Galleria Gianenzo Sperone di Roma nel 1984,
anno in cui è presente alla Biennale di Venezia nella sezione Aperto.
Nel 1986 torna ad esporre alla Biennale di Venezia nella sezione Arte e Alchimia,
invitato da Arturo Schwarz che scrive: «Ceccobelli è sempre stato
fedele solo ed esclusivamente al proprio mondo interiore - scansando risolutamente
ogni adesione alle effimere mode del
momento. Ha saputo, e sa, esprimere questo suo modello interiore in modo inedito
e personale, incurante della disputa astrazione-figurazione che riesce anzi a
conciliare; e finalmente, proprio in virtù dell’inderogabile esigenza
di esprimere con la più intima adesione possibile i propri moti dell’anima
[...] Ceccobelli non ha mai esitato a rinnovarsi e a rinnovare la sua sigla espressiva
la quale, proprio in virtù del suo radicarsi in una profonda esigenza
etica ed estetica, emana un’intensa aura poetica. [...] Penso all’arte
di Ceccobelli come a un’espressione filosofale nel duplice senso della
parola: arte che s’ispira a una filosofia della vita e quindi si fa portatrice
di valori etici ed estetici, e arte che trova la sua ragione d’essere nella
pulsione indagatrice, propria anche del sistema filosofico che struttura l’alchimia».
Del 1988 è una triplice esposizione a New York presso la Jack Shainman
Gallery, a Roma presso il Centro di Cultura Ausoni e a Madrid, presso la galleria
Mar Estrada. Sempre nel 1988, al Caffè Florian di Venezia, presenta 777
opere di piccole dimensioni formanti un’unica installazione.
Nel 1989 espone a Parigi alla Galleria Yvon Lambert, a Londra, alla Galleria
Mayor Rowan, e a Barcellona, da Thomas Carstens. Gli inizi degli anni ’90
vedono il suo esordio sul panorama artistico tedesco: espone alla Hilger Galerie
di Francoforte (1990), alla Hilger Galerie di Vienna (1993), alla Galerie Tribold
di Basilea (1991) e alla Galerie Holtmann di Colonia.
Nel 1993 gli vengono dedicate ampie personali al Museum Centre Saydie Bronfman
di Montreal e alla Galleria d’Arte Moderna di Rimini.
Dopo aver presentato le sue opere all’Istituto di Cultura Italiana a Malta
e alla Galleria BMB di Amsterdam, nel 1995 ha una personale alla galleria Kouros
di New York, mentre nel 1996 partecipa alla Quadriennale di Roma.
Dal 1998 è rappresentato in Canada presso due gallerie: alla Galleria
Han di Montreal e alla Art-Core Gallery di Toronto. Nel marzo del 2000 si apre
una grande personale al Museo d’Arte Contemporanea di Riccione, che raccoglie
un’antologica delle sue opere.
Nel 2001 torna in Germania, a Colonia, dove è ospite della Galleria Binz & Krämer;
in seguito espone in Austria presso la Contemporary Art Gallery a Villach.
Celebra i suoi venti anni di esposizioni in Olanda nel 2002 con una mostra nella
Galleria BMB, con la quale lavora in esclusiva.
Bruno Ceccobelli ha partecipato alle più importanti rassegne internazionali,
in Italia e nei maggiori musei del mondo:è stato presente alla Biennale
di Venezia (1984, 1986), alla Quadriennale di Roma (1984) e alla Biennale di
Sidney (1986).
Vive e lavora tra Roma e Todi.
Relativamente a quest’opera, No-è, Bruno Ceccobelli scrive: «Il
mio Noè ebbro è “no è” provocazione semantica
che rivela vari significati: “il no che è” cioè il “nulla
che è” ovvero per me l’invisibile (l’astratto, il sogno,
la speranza) che è la vera realtà creativa; traslatamente l’ebbrezza
di Noè potrebbe essere letta come l’incontro con la propria Divinità».
Paola Gandolfi è nata
a Roma, dove ha frequentato il Liceo Artistico, proseguendo poi gli
studi presso l’Accademia di Belle Arti di
Bologna. Parallelamente alla giovanile formazione artistica , gli studi
psicoanalitici hanno notevolmente contribuito a costruire il suo linguaggio
pittorico.
Dalle prime mostre a Bologna approda alla “Tartaruga”di
Plinio de Martiis con una mostra collettiva nel febbraio del 1981.
Ha partecipato, poi, alle più importanti rassegne artistiche
- Biennale di Venezia, Arte Fiera di Bologna, MiArt a Milano, FIAC
di Parigi, Quadriennale di Roma - e a numerose collettive in Italia
e,
all’estero, in Austria, Spagna, Svizzera, Francia, Germania,
U.S.A., Australia, Finlandia, Corea, Belgio, Regno Unito e Messico.
Dopo la prima personale (Galleria Pio Monti, Roma 1983), sono state
dedicate all’artista varie mostre, fra le quali Sogni romani,
alla Galleria Philippe Daverio di Milano, nel 1991, la Sala personale
alla Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia, nel 1995, l’esposizione
alla Galleria Monique Knowlton di New York nel 1996 - poi portata ad
Arte Fiera di Miami (1997), a New Haven, Connecticut (1997), a Guadala-yara,
Messico (1997). Nel 2000 la Galleria Allori propone l’artista
ad Arte Fiera di Bologna, a Madrid ed al MiArt di Milano. L’ultima
esposizione personale, Esercizi di equilibrio, si è aperta nel
2002 alla Galleria La Vetrina di Roma, con testo in catalogo di Gianluca
Marziani. Dagli anni ’80 ad oggi Paola Gandolfi ha partecipato
a numerose esposizioni: Pittori anacronisti italiani, al Centro Culturale
Conde Duque di Madrid (1985), seguita, nello stesso anno, dalla mostra
New Romanticism, all’Hirshom Museum di Washington. Gli anni ’90
si aprono con un’importante esposizione, Trent’anni di
avanguardie Romane, al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1991). Sono
del 1996 le
partecipazioni a Pittura, al Castello di Rivara, Torino ed alla XII
Quadriennale di Roma, Ultime generazioni.
Negli
ultimi anni ha partecipato ad importanti manifestazioni artistiche
in Italia (nei Cantieri Culturali della Zisa di Palermo Corpo incorrotto
corpi corrotti è del 1998; al Museo del Risorgimento di Roma
La pittura ritrovata 1978-1998, nel 1999; nello stesso anno, al P.A.C.
presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di
Milano suigeneris; al Ministero degli esteri (la Farnesina) Artisti
italiani del XX secolo alla Farnesina, Roma 2001; al Palazzo Reale
L’Arengario per tutto l’odio del mondo, Milano 2001) e
all’estero (alla Galleria Weszone Cultural ties di Londra, nel
2000; al Museum voor Moderne Kunst di Ostenda, Belgio Between Earth
and Heaven nel 2001). Nel 2002 si ricorda la partecipazione a segno
disegno
progetto… collezione Francesco Moschini all’Italian Cultural
Institute di Seoul, Corea. Infine nel 2003 Paola Gandolfi prende parte
a: Melting Pop, al Palazzo delle Papesse di Siena e al Museo d’Arte
Castello di Masnago, Varese; La Scuola Romana nel novecento, presso
il Chiostro del Bramante, collezione Cerasi, Roma. Scrive l’artista
su
quest’opera: «Ho tentato, nel mio
quadro, di mostrare l’imponenza del simbolo paterno, una sorta
di totem (Noè). L’i
mmagine è rovesciata, così come
in altri miei quadri, l’idea della testa in giù rappresenta
una posizione dove la verità e i segreti (vengono a galla) si
mostrano, una diversa posizione inconscia, dove appare uno stato
secondo. Ho concentrato lo sguardo su una parte del corpo maschile,
perché quello è lo sguardo del figlio, l’organo
maschile paterno è l’archetipo della potenza, dello stato,
e quello è il segreto. Le gocce rosse sono il vino, che cade
solo sui figli, perché solo loro subiranno le conseguenze dell’ebbrezza
di Noè».
Luca
Piovaccari è nato
a Cesena il 6 luglio 1965. Vive e lavora a Cesena.
È
un artista che gioca il suo lavoro
sull’ambiguità dell’immagine, risolta attraverso
trasporti fotografici su fogli di acetati, oppure nel gioco più realistico
della pittura, in un rimando allusivo che porta allo slittamento continuo
fra i vari generi linguistici. Il tutto con i toni del bianco e nero,
che sottolineano ancor più la struggente malinconia di queste “radiografie
ontologiche”.
Così lo stesso Piovaccari si esprime sul
proprio fare arte: «Preferisco i lavori sul paesaggio [...] Figure
e paesaggi di plastica che si nutrono del reale ma che estraniano il
loro modo di essere e per assurdo
diventano altro.
Nelle mie ricognizioni prediligo le zone o quelle
situazioni che si vengono a trovare ai margini,
momentaneamente desolate, luoghi come linee di confine degradate e
fragili, come le periferie che catturano lo
sguardo e indagano la visione del
paesaggio che per me anche se a Cesena potrebbero essere a Roma, Milano
oppure a Berlino. Immagini fragili... e trasparenti... fatte di luce!»
Fra le principali personali dedicate all’artista si ricordano:
nel 1992 alla Galleria Comunale d’Arte di Bagno di Romagna; nel
1998 alla Galleria Romberg di Latina; nel 1999 la mostra dal titolo
Tempo riflesso, a Faenza; nel 2000 le personali presso Marella Arte
Contemporanea, a Milano, la Galleria Comunale D’Arte - Palazzo
del Ridotto di Cesena, con una presentazione di A. Riva e R. Ronchi,
e presso la Galleria dell’Immagine di Rimini.
Nel 2001 gli viene
dedicata dalla Galleria Romberg la mostra dal titolo Anteprima, all’interno
del Miart di Milano. Numerose sono le collettive alle quali l’artista
partecipa: nel 1994 Omaggio a Melozzo, a Palazzo Albertini, Forlì;
nel 1995 la I Biennale d’Arte Romagnola, alla Galleria Comunale
di Cesena; nel 1996 I Premio Trevi Flash Art Museum, Trevi, e Realismo
italiano, Collezioni Nordstern, Colonia. Nel 1997 partecipa a Ezra
Pound e le Arti, a cura di A. Beolchi, M. Cecchetti, V. Scheiwiller,
al Palazzo Bagatti Valsecchi di Milano e a Giovani artisti romagnoli,
con il Progetto Euarca Romagna-Kassel, nella Galleria d’Arte
Moderna di S. Sofia, Forlì. Nel 1998 espone a Children, a cura
di F. Petracci e L. Pratesi. Nel 1999 partecipa ad Arte Fiera di Bologna,
Miart a Milano, alla Biennale Romagnola di Fotografia, a Cesena, e
al Premio Marche 1999, a cura di L. Caramel, C. Spadoni, D. Guzzi,
S. Cupini, ad Ancona.
Fra le più recenti
partecipazioni si ricordano: nel 2000 Formae, all’Istituto di
Cultura Italiana, Berlino; Parola e immagine a cura di M. Calvesi e
L. Canova,Teatro Argentina, Roma; Il nuovo paesaggio in Italia allo
Spazio Electra, Parigi; Sui Generis al P.A.C. di Milano; nel 2001 8
artisti, 8 critici, 8 stanze a cura di D. Auregli e P. Weiermair ,
G.A.M., Villa delle Rose, Bologna; Pittura in Romagna - Aspetti e figure
del Novecento, Galleria d’Arte Moderna, Cesena; Book AXA Art
Corporate Collection Today, Selection of contemporary artworks, Koln;
2002 Italia Lussemburgo, Palazzo Mazziotti, Caserta; “Premio
Nazionale di Pittura Città di Monza”, Serrone di Villa
Reale, Monza; Outdoor - Italian artists in Germany, Kunst und Kulturverein,
Aschersleben; Selezione n. 1 fotografia italiana, Farsetti, Milano;
Intervento a casa di Ludovico Pratesi, Roma. Nel 2003 Piovaccari partecipa
a Alto impatto ambientale, nei Chiostri di S. Domenico a Reggio Emilia.
Luca Piovaccari ha scritto relativamente alla sua opera: «Nel
lavoro che presento due bambine davanti a pampini di vite si fingono
ubriache in spensierata allegria ignare del futuro, ma come ad affermare
che l’ironia serve; serve ad avere una visione aperta e curiosa
sul mondo».
Massimo
Pulini è nato
a Cesena.
Dopo aver esordito giovanissimo, ha svolto un ruolo attivo
tra gli artisti che, all’inizio degli anni Ottanta, venivano
variamente definiti come Anacronisti, lpermanieristi o Pittori colti,
partecipando ad esposizioni curate da Italo Tomassoni, Paolo Portoghesi,
Maurizio Calvesi, Giuseppe Gatt e Italo Mussa. Il percorso della
sua ricerca, infuso di un profondo dialogo con la storia, ha però sempre
avuto caratteri di forte unicità, non coincidenti con alcuna
delle varie ‘teorie’ formulate in quegli anni. Tra le
esposizioni più rilevanti si ricordano la partecipazione alla
XI Quadriennale romana (1986), la grande rassegna Novecento.
Arte
e Storia in Italia (curata nel 2000 da Calvesi per le Scuderie del
Quirinale) e le vaste mostre tenute presso il Museo di Villa Adriana
a Tivoli (1977) e presso il Teatro Farnese e il Palazzo della Pilotta
a Parma (1999). Dagli inizi degli anni Novanta escono le prime pubblicazioni
di suoi saggi storici su pittori del XVII secolo (si occuperà in
questo decennio della ricostruzione del corpus pittorico di importanti
artisti come Bartolomeo Manfredi, Giuseppe Vermiglio, Pietro Novelli,
Alessandro Turchi, Simone Cantarini, Michele Desubleo, Cristoforo
Serra, Domenico Fetti, Pietro Ricchi, Andrea Lilio e soprattutto
Guercino, aggiungendo vari inediti e nuove interpretazioni). Da quel
momento le due attività, di pittore
e di ricercatore storico, si alternano
e si intersecano, in un certo senso nutrendosi reciprocamente. Nel
2001 ha curato, per conto della Pinacoteca Civica di Cento l’esposizione
Guercino, racconti di paese, una importante rassegna sui temi del paesaggio
e della scena popolare, nella pittura emiliana del XVII secolo.
Attualmente
Massimo Pulini è titolare della Cattedra di Pittura presso l’Accademia
di Belle Arti di Bologna, dopo aver insegnato nelle Accademie di varie
città italiane. «La memoria onirica di Pulini pesca oltre
il tempo in altre vite, più lontane, nelle quali si identifica
per comunanza di vocazione e spesso, per la parentela delle origini/
pittori della sua terra, delle cui ansie e dei cui aneliti testimoniano
le tele delle chiese e delle pinacoteche, nel raggio di una assediante
vicinanza fisica, in quegli stessi luoghi dove Pulini ha conosciuto
il mondo, quel mondo, quella natura, quei siti che hanno conosciuto
e vissuto anche loro; tra apparizioni e dissolvenze che il pacato e cogente delirio di una memoria sollecitata dal sentimento
riconosce come proprie, ritualizzate dalla verità sempre astante
della pittura. […]
Le compenetrazioni che Pulini realizza in questi anni hanno un fascino
straordinario; internamente alle antiche composizioni, creano un tenue
vortice che celebra squisitamente la pittura come materia di un’ispirata
alchimia, nei cui cicli il tempo si fa diafano, inconsumabile tempo
della trasformazione e del ritorno; e nel cui corpo di porcellana,
d’ambra, di quarzo, di opale è come infuso o diffuso in
solenne e delicato spargimento, un alito di spirituale
rotazione» (Maurizio Calvesi).
La recente ricerca di Massimo Pulini fa del colore squillante e “termografico” -
sempre su supporto radiografico -
il protagonista assoluto, in contrasto con i cicli pittorici precedenti
giocati sui toni monocromi dei grigi, dei bianchi e dei neri, con suggestioni
del costrutto pittorico di fascino evocativo e di “spettrale
turbamento”. «[...] in termini concettuali, dipingere sulle
radiografie può significare regredire dal risultato pittorico
al suo processo di formazione, ripercorrere la crescita dell’immagine
iterando il gesto dell’antico pittore. Le radiografie dei corpi
umani lasciano intravedere poco più che macchie indistinte,
talvolta un teschio, un arto, un costato, tracce di “interiorità” e
di dolore, come se la pittura fosse a sua volta un corpo scrutato dentro;
e del resto l’analisi radiografica si esercita anche proprio
sui dipinti, che in questo caso rispondono come per un incantesimo,
rivelando da tali slumacature il transito sofferto, su quella pagina
dell’uomo. La ripetizione del processo pittorico diventa una
sorta di liturgia a lume di luna, sospesa tra i regni della tenebra
e gli spazi siderali del ritorno (M. Calvesi). Quest’ultimo ciclo
pittorico è dunque un procedimento di analisi e di scandaglio
ulteriore che si esplicita nel colore magmatico, che ribolle, portando
in superficie i codici interiori dell’anima dei suoi personaggi.
Il titolo dell’ultima rassegna tenutasi a Cesena, nella Galleria
Comunale d’Arte del Palazzo del Ridotto, Solve et coagula «rimanda
contemporaneamente all’idea di processi chimici, nel diluirsi
e poi rapprendersi di materie e agenti, e al calore, alla temperatura
che è condizione necessaria per l’attivazione di questi
processi, e mezzo per condurre ad esito il procedimento, portando a
visibilità il risultato» (C. Terrosi). E
ancora scrive
Giancarlo Papi: «La superficie [della tela] è stata e
continua ad essere luogo di rapporti tra segni, colori, dinamiche pure
della rappresentazione. In questo senso i valori di superficie appartengono
alla pittura nella sua massima estensione, attraverso le polarità dell’astrazione
e della figurazione che agiscono simultaneamente nel compiersi del
colore sulla superficie.
Tutto sta nel capire la vera esigenza del
colore, che è problema storico, profondo e complesso che attraversa
con folle ambiguità la tradizione della pittura contemporanea.
Ambiguità non tanto come concezione percettiva o psicologica
ma come stato di ricerca volutamente disorientato e, proprio per questa
natura, in grado di formarsi, negarsi e rinnovarsi con ulteriori scatti
dell’immaginazione».
Medhat
Shafik è nato
il 1° gennaio del 1956 ad El Badari (Assiut) in Egitto. Dal 1976
vive ed opera tra Milano e Il Cairo.
Si è diplomato nel 1980 in Pittura e nel 1985 in Scenografia
presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. In Italia,
in Egitto e in altri paesi, ha partecipato ad importanti manifestazioni
artistiche aggiudicandosi numerosi premi e lusinghieri giudizi. La
sua consacrazione giunge nel 1995, quando, invitato alla XLVI Biennale
di Venezia, per i suoi quadri e installazioni nel Padiglione dell’Egitto,
gli viene conferito, unitamente a due artisti connazionali, il Gran
Premio Leone d’Oro per il miglior padiglione. Nel 1996 gli viene
dedicata un’interessante rassegna alla Galleria Comunale d’Arte
di Cesena e presso Il Vicolo - Interior Design, curata da Marisa Zattini.
Nel 1997 vince il Premio Alcatel alla VII Biennale Internazionale del
Cairo, dove gli viene aggiudicato, nel 2001, il Premio Biennale.
Artista di successo internazionale. Pittore ma anche scultore, abile
alchimista nel mescolare materiali e tecniche diverse, riesce a coniugare
le suggestioni e i colori delle terre d’oriente con le più avanzate
modalità compositive delle avanguardie occidentali. Si tratta,
infatti, di un incontro felice tra due culture: quella orientale, dell’idioma
materno e quella occidentale, appresa nei suoi studi milanesi. Sarebbe
illusorio cercare nella pittura di Shafik i segni evidenti di una identità egiziana
secondo dei criteri occidentali; la sua pittura potrebbe addirittura
essere inserita nel filone espressivo dell’informale anni ’50-’60.
Pierre Restany scrive, relativamente all’opera pittorica di Shafik: «Le
sue tele sono innanzitutto cooperazione e racconto, ricche di riferimenti
visivi alla tradizione orale e al filo rosso del pensiero poetico dell’artista.
Il racconto di Shafik è naturalmente “da favola”:
basti pensare ai titoli delle sue opere per capire che la vera motivazione
della sua pittura è per lui il piacere, il piacere dei sensi
e della mente [...] il piacere di Shafik consiste nel vagabondare nei
gialli deserti, passando per antiche fiere, ascoltando i suoni dei
luoghi lontani, nel cercare tra le sabbie i rossi bagliori e nell’ombra
la luce che scivola sul mondo. Piaceri semplici fortemente colorati,
come le visioni del benessere, inteso come felicità fisica e
mentale».
La sua pittura è una perenne ricerca di radici, un “viaggio
metastorico, purificatore dell’anima come quello degli antichi
viandanti o dei monaci tibetani”.
Sue opere sono presenti in importanti collezioni e musei italiani ed
esteri.
Nel 1998 realizza Il percorso dell’asceta, per la VI Biennale
Internationale du Film sur l’Art, Centre Georges Pompidou, tenutasi
a Parigi ed è invitato, nello stesso anno, alla VII International
Biennal of Cairo come “Special Guest”, in Egitto.
Nel 1999 realizza a Cervia, nella Galleria Comunale d’Arte Ex
Pescheria, una suggestiva rassegna-installazione dal titolo Il risveglio
della Fenice, curata da Marisa Zattini, e a Como nel Salone San Francesco,
a cura di Alberto Fiz, La via della seta, presentata anche al Festival
International du Film sur l’Art, Montreal (Canada). Fiz al proposito
scrive: «[...] una rappresentazione tesa a cogliere in profondità il
pensiero artistico di Shafik che considera il viaggio come una metafora,
una sorta di iniziazione spirituale che gli consente di riappropriarsi
del presente». Lo stesso artista spiega: «[...] In questo
viaggio nel tempo cerco le radici delle antiche civiltà, le
radici dell’umanità, la linfa vitale dell’uomo,
dei suoi sentimenti, del suo intelletto, al di là degli spazi,
dei luoghi e dei tempi». Sempre del 1999 è la mostra Bagliori
allestita nelle sale di Spirale Arte a Milano. Anche qui i materiali
più diversi vengono utilizzati dall’artista per creare
magiche atmosfere: «Fanno parte di questo “allestimento” per
esempio le garze, trasparenti ma sempre interposte come una distanza,
un limite anzi una frontiera situata fra lo spazio del vedere e quello
dell’essere visto. La garza che rivela ed al tempo stesso occulta,
che dispiega e soffonde la “natura” più segreta
dell’opera, sia essa dipinto o installazione o entrambe le cose» (Martina
Corgnati). Nella più recente ricerca Shafik utilizza delle carte
fatte a mano: «dalla consistenza quasi di stoffa, quasi dei sudari
su cui si stratificano le impronte del tempo [...] per dirci che in
noi esiste un altro strato del percepire il mondo, uno strato più profondo,
e che il compito dell’artista è quello di scavare tra
la sabbia per farcelo vedere, prima che la sabbia lo ricopra di nuovo.
In questo senso le opere su carta sono frammenti, ma non è frammentario
il processo che li svela, che li porta alla luce, perchè in
questo caso l’artista è anche lo scrigno che teoricamente
le custodisce tutte [...]» (M. Meneguzzo).
All’opera L’Ebbrezza di Noè, ovvero Il candore della
passione, anch’essa realizzata con carte pressate ad impronta
e legno scolpito e dipinto, l’artista ha dedicato questa sua
lirica: «E tu amica delle notti felici / non sai quanto ho pianto
/ impigliato nelle reti del fato... / I dolci canti malinconici della
sera, / le inquiete danze ancestrali / compagne della solitudine dei
poeti / che battono i talloni / sulla terra arata dalla lava / svegliando
gli anni del tempo / dal sonno dei vulcani / portatori dell’incenso
primordiale / offerto agli dei. / Nelle notti cariche di promesse di
vita / dei tempi dell’amore / cresce la forza del poeta, / apre
le braccia / cogliendo l’infinito / e battono i talloni del poeta
/ sulle terre arate dalla lava / svegliando gli anni del tempo / dal
sonno dei vulcani».
Il
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